Nuovi risultati relativi alla ricerca di morfologie di origine glaciale sull’edificio vulcanico etneo

Pietro Carveni, Santo Benfatto & Maria Salleo Puntillo

PREMESSA

L’estensione dei ghiacciai che nel Pleistocene superiore hanno interessato le catene montuose che circondano il Mare Mediterraneo è stata irrilevante rispetto a quella dei ghiacciai alpini, in quanto si è trattato di ghiacciai con carattere marginale e discontinuo; ciò malgrado, l’identificazione della loro ubicazione, tramite il riconoscimento di morfologie di origine glaciale, come valli dal profilo trasversale a U e depositi morenici, riveste una grande importanza dal punto di vista paleo-climatico.

RICERCHE SUI GHIACCIAI INFRA-PLEISTOCENICI ETNEI

Con la sua altezza di poco superiore ai 3.300 metri, e con un diametro massimo di 45 chilometri, l’Etna è il vulcano attivo più grande del Continente Europeo, nonché la montagna più alta dell’Italia peninsulare e insulare e della zona mediterranea.

Esso è uno strato-vulcano complesso, risultante dalla sovrapposizione dei prodotti eruttivi emessi da diversi edifici vulcanici, poggianti su un basamento parzialmente alloctono, formato da rocce di età compresa tra il Cretaceo e il Pleistocene (Romano et al., 1978; Branca et al., 2011;  2015, e relative bibliografie).

L’inizio dell’attività vulcanica nella zona etnea, circa 500.000 anni fa, è stata caratterizzata da eruzioni fissurali submarine, che non hanno portato alla formazione di edifici rilevanti (Romano, 1982); circa 200.000 anni fa l’attività vulcanica si è trasformata da fissurale sottomarina a centrale subaerea, e sono stati edificati imponenti strato-vulcani (Romano, 1982), come i Centri Eruttivi di Rocca Capra (circa 1.100 metri di altezza, da 110.000 a 101.000 anni fa), il Trifoglietto (2.400 metri di altezza, da 107.000 a 99.000 anni fa), il gruppo Salifizio – Serra Giannicola Grande – Cuvigghiuni (2.700 metri di altezza, 85.000 – 65.000 anni fa), e l’Ellittico (3.800 metri di altezza, attivo tra 65.000 e 15.000 anni fa).

 L’attività finale dell’Ellittico fu caratterizzata da una serie di violente eruzioni esplosive, che causarono la demolizione della porzione sommitale del vulcano, per quasi 1.000 metri di altezza, e la conseguente formazione di un’ampia caldera, il cui orlo, parzialmente sepolto, è riconoscibile sull’alto versante settentrionale dell’Etna, in corrispondenza di Pizzo Lucia e Pizzi Deneri (Fig. 1: D); all’interno della caldera l’attività eruttiva riprese con la formazione del Mongibello Recente.

Nel corso dell’Ultimo Massimo Glaciale (25.000 – 14.000 anni fa), quindi, la parte sommitale del vulcano superava la quota di 3.700 metri sul livello del mare (Kieffer, 1985); in quel periodo alla latitudine dell’Etna il limite delle nevi persistenti si trovava intorno a quota 2.500 metri sul livello marino (Palmentola et al., 1990), o tra 2.500 e 2.200 metri di quota (Neri et al., 1994; Neri et al., 1995; Neri, 2002): ne deriva che la porzione sommitale dell’edificio vulcanico etneo si è trovata, per diverse migliaia di anni, al di sopra del limite delle nevi persistenti, e, di conseguenza, in condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo di ghiacciai, seppure di modeste dimensioni.

Vulcaniti preesistenti e/o contemporanee all’Ultimo Massimo Glaciale affiorano sui versanti che scendono verso settentrione dalle citate località di Punta Lucia e Pizzi Deneri (Kieffer, 1985; Ferlito & Cristofolini, 1989; Coltelli et al., 1994); poiché queste zone si trovano a quote tali da poter essere state interessate da eventuali coperture glaciali, su di esse si sono concentrate le nostre ricerche (Figg. 1 e 2). Altri limitati affioramenti vulcanici risalenti all’Ultimo Massimo Graciale sono ubicati in altri settori dell’edificio etneo (Romano et al., 1978; Branca et al., 2011;  2015).

Fig. 1 – Schema geologico della zona sommitale e dell’alto versante nord-orientale dell’edificio vulcanico etneo: A) Vulcaniti posteriori all’Ultimo Massimo Glaciale; B) Vulcaniti precedenti all’Ultimo Massimo Glaciale; C) orli craterici; D) orlo sepolto della caldera dell’Ellittico; E) orlo della Valle del Bove. Località: CC) Cratere Centrale; MC) Monte Concazza; MF) Monte Frumento delle Concazze; MR) Monte Rinato; PD) Pizzi Deneri; PL) Punta Lucia. Il cerchio rosso indica l’ubicazione della prima valle glaciale individuata (da Carveni et al., 2007 a).

Fig. 2 – Veduta panoramica del versante nord-orientale dell’Etna, con la zona in cui affiorano le lave precedenti all’Ultimo Massimo Glaciale e si trovano le valli con profilo trasversale a U.

Testimonianze geologiche della presenza di ghiacciai sull’edificio vulcanico etneo durante l’Ultimo Massimo Glaciale sono state evidenziate da diversi Autori (Neri et al., 1994; 1995; Congiu et al., 1997; Neri, 2002); più recentemente sono state segnalate alcune valli con sezione trasversale a U (Fig. 3), attribuibili all’azione di lingue glaciali, ubicate sul versante nord-orientale dell’edificio vulcanico etneo, e insistenti su prodotti lavici emessi precedentemente all’Ultimo Massimo Glaciale (Carveni et al., 2007 a; Carveni & Benfatto, 2008; Carveni et al., 2009 a; 2012; Carveni, 2016; Carveni et al., 2016; 2017).

Alcune valli, con ipotizzabile sezione trasversale a U, sono quasi completamente riempite da prodotti piroclastici e/o epiclastici, a causa delle frequenti eruzioni (Fig. 4).

Un problema rimasto irrisolto fino a tempi recenti, è quello relativo all’assenza di depositi morenici, o, meglio, al non riconoscimento di questi, a causa della copertura arborea di vaste zone delle pendici etnee, dei materiali piroclastici che spesso ricoprono i versanti, e alla veloce trasformazione cui sono soggetti i versanti del vulcano in occasione delle frequenti eruzioni.

Carveni et al. (2018) hanno avanzato l’ipotesi che alcune pietre-cannone (forme particolari di fossilizzazione arborea), attualmente adagiate al suolo e in parte ricoperte da terriccio, siano a tutti gli effetti porzioni di depositi morenici.

Per una migliore comprensione si fornisce una breve spiegazione del fenomeno che porta alla formazione delle pietre-cannone.

Fig. 3 – Valle con profilo trasversale a U, impostata su vulcaniti precedenti all’Ultimo Massimo Glaciale, ubicata sul versante che scende dai Pizzi Deneri verso NW (si veda l’ubicazione nella fig. 1); si noti come il fondo della valle è parzialmente ricoperto da depositi piroclastici e/o epiclastici.

Fig. 4 – Valle con presumibile profilo trasversale a U, quasi completamente riempita da piroclastiti ed epiclastiti che ne obliterano la forma.

Formazione delle “pietre-cannone”

Le pietre-cannone sono il risultato di un particolare fenomeno di fossilizzazione arborea che si verifica quando una colata lavica molto fluida investe una zona boscosa, avvolgendo i tronchi degli alberi; mentre le porzioni delle piante rimaste fuori dalla colata bruciano, quelle inglobate dalla lava sono rivestite da croste di roccia solidificatesi attorno ai tronchi (Fig. 5: A 1); in seguito alla diminuzione del tasso di emissione della lava, o alla cessazione completa dell’eruzione, la superficie della colata tende ad abbassarsi di livello e a solidificarsi; ne consegue che la porzione più alta del rivestimento dei tronchi rimarrà sporgente sotto forma di un tubo di roccia dalla forma irregolare, e indicherà l’altezza massima raggiunta dalla colata lavica durante la fase più intensa dell’emissione (Fig. 5: A 2). Con l’aumentare della distanza dal luogo di emissione, la lava tende a raffreddarsi e a diventare più viscosa, e l’altezza del fronte lavico aumenta: in queste condizioni ogni ostacolo viene bruciato e/o sepolto (Fig. 5: B).

è chiaro quindi che questo fenomeno si verifica su edifici vulcanici alimentati da magmi basici, nelle vicinanze di una bocca eruttiva, in zone ricoperte da vegetazione arborea.

In base alle nostre ricerche, la prima testimonianza del ritrovamento di pietre-cannone si deve a Lyman (1849), il quale osservò sul vulcano Kilauea colonne di roccia con tracce di carbone, e ipotizzò che una colata lavica avesse investito una preesistente zona boscosa.

Osservazioni dirette del fenomeno furono effettuate da Reclus (1865) e da Silvestri (1867), nel corso dell’eruzione etnea del 1865.

Bullard (1978, pagg. 367-370) fornisce un’ampia spiegazione del fenomeno.

Alcune pietre-cannone della zona etnea sono già state individuate e descritte (Carveni et al., 2007 b; 2009 b; 2010; 2011; Carveni, 2016).

Fig. 5 – Modalità di formazione delle pietre-cannone (da Carveni et al., 2009 b).

Le pietre-cannone di Monte Corvo

Le pietre-cannone in esame si trovano a NE di Monte Corvo, su una gibbosità del terreno allungata in senso W-E, ubicata alla base del versante che scende dai Pizzi Deneri, il quale è inciso da diverse valli con sezione trasversale a U, il cui fondo è ricoperto da spesse coltri piroclastiche ed epiclastiche; a monte, dette valli sono troncate dall’orlo della caldera formatasi alla fine dell’attività dell’Ellittico; le morfosculture poggiano su Prodotti Effusivi dell’Ellittico (Romano et al., 1978) ovvero sulla Formazione Pizzi Deneri (Branca et al., 2011; 2015), precedenti all’Ultimo Massimo Glaciale.

Si tratta di tre distinti corpi rocciosi, allineati in direzione W-E, per una lunghezza complessiva di 12 metri; solo l’esemplare che si trova in posizione intermedia è ben esposto (Fig. 6); esso ha una circonferenza di poco inferiore a 4 metri, una cavità con diametro di circa 50 centimetri, e uno spessore medio della parete di 40 centimetri. La massa rocciosa che forma la struttura si presenta criptocristallina, con fenomeni di esfoliazione, attribuibili ad alterazione causata da termoclastismo e crioclastismo. Gli altri due corpi rocciosi sono parzialmente sepolti, ma se ne distingue chiaramente la morfologia.

Fig. 6 – Una delle tre pietre-cannone giacenti nei pressi di Monte Corvo, ubicata allo sbocco di una valle dal profilo trasversale a U, e poggiante su colate laviche emesse precedentemente all’Ultimo Massimo Glaciale.

Le pietre-cannone ubicate a meridione dei Monti Nespole

Nella radura ubicata a meridione della sella che separa i due edifici piroclastici dei Monti Nespole si trovano due pietre-cannone, in parte sepolte da terriccio.

La prima giace in direzione ENE-WSW, con l’apertura verso WSW (Figg. 7 e 8); la cavità, ispezionabile fino alla profondità di 3,5 metri va assottigliandosi, suggerendo che l’apertura corrisponda alla parte più bassa del tronco; il diametro dell’apertura e di 0,55 metri, e lo spessore della parete varia da un massimo di 35 a un minimo di 10 centimetri.

La seconda è quasi completamente sepolta; essa giace in direzione E-W, con l’apertura verso occidente; ha una lunghezza di 1,50 metri, con diametro apprezzabile dell’apertura di 55 centimetri.

Entrambe le pietre-cannone poggiano su lave attribuite al periodo di passaggio dal Mongibello Antico al Mongibello Recente (Romano et al., 1978), emesse durante l’Ultimo Massimo Glaciale; si può quindi ipotizzare che siano state trasportate da una lingua glaciale, e facciano dunque parte di un deposito morenico.

Fig. 7 – Una delle pietre-cannone ubicate a meridione dei Monti Nespole.

Fig. 8 – Interno della pietra-cannone di figura 7.

Ricostruzione del fenomeno che ha portato all’attuale situazione

Si ipotizza che lingue glaciali abbiano percorso i versanti lungo i quali in precedenza erano scese colate laviche che avevano formato alcune pietre-cannone; le lingue glaciali possono aver facilmente sradicato le pietre-cannone incontrate sul loro percorso (Fig. 9), trasportandole e depositandole al fronte del ghiacciaio o lateralmente ad esso (Fig. 10).

Questa teoria spiega il motivo per cui le pietre-cannone prese in considerazione giacciono al suolo, in parte coperte da terriccio.

Fig. 9 – L’esarazione esercitata da una lingua glaciale trasporta le pietre-cannone (da Carveni et al., 2018).

Fig. 10 – Le pietre-cannone, abbandonate dalla lingua glaciale, giacciono con altri materiali morenici (da Carveni et al., 2018).

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